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Oshima: l’isola dimenticata che la Triennale ha riscoperto

Cultura FEATURED Kagawa Musei e gallerie Shikoku

Piccola gemma incastonata nel Mare interno di Seto, Oshima fa parte delle isole della Triennale di Setouchi, ma non somiglia a nessun’altra isola che io abbia mai visitato in Giappone e il motivo risiede nella sua storia.

Parlare del Giappone significa spesso tuffarsi in un oceano di storie, ma raccontare Oshima è come prendere un respiro profondo prima di immergersi nell’acqua: un gesto semplice, quasi naturale, eppure indispensabile per capire davvero questo luogo.

Le origini di Oshima e il suo passato nascosto

La storia più antica della zona è impressa nella sabbia. Durante la battaglia di Yashima nel XII secolo, i corpi dei guerrieri sconfitti furono trascinati dalla corrente sulle spiagge occidentali dell’isola, dove ancora oggi una pineta segna il luogo della loro sepoltura. Ma dal 1909, Oshima è stata un’isola proibita. Essa è sede del Sanatorio Nazionale Oshima Seishoen, destinato ai malati della malattia di Hansen, meglio nota come lebbra.

All’epoca, una legge giapponese imponeva il confinamento dei pazienti in strutture isolate sparse in tutto il paese. Una norma rimasta in vigore fino al 1996, quando finalmente la scienza ha dimostrato che la malattia non era così contagiosa come si credeva e che una cura efficace era possibile. Oggi, nonostante la guarigione dei pochi residenti, l’isola conserva la memoria di un passato doloroso, trasformandosi in un luogo di riflessione e sensibilizzazione.

La Triennale e la rinascita dell’isola

Quella che dal traghetto ci era sembrata una normale isola del Giappone, appare quasi surreale una volta sbarcati. I volontari della Triennale ci accolgono con sorrisi gentili, spiegano dove ci troviamo, cosa è consentito fare e gli orari dei traghetti: pochi e distanti, un dettaglio che accentua il senso di isolamento.

Iniziando il nostro percorso libero all’interno dell’isola, alcune cose saltano all’occhio ma soprattutto all’orecchio: le strade sono ampie, in giro non c’è nessuno a parte i pochi visitatori e una costante melodia aleggia su tutta l’isola. I volontari ci spiegano che le linee bianche e le barriere aiutano i malati con problemi di vista nel loro percorso e che la musica serve ad orientarli. Quella che un momento prima mi era sembrata una melodia leggera diventa all’improvviso un suono angosciante, che non riesco più a ignorare e ancora mi accompagna nei ricordi.

Oshima è oggi divisa in due mondi: uno aperto ai visitatori della Triennale, dove l’arte guida alla consapevolezza, e uno riservato agli ex pazienti ora residenti dell’isola, inaccessibile. Le opere disseminate lungo il percorso non sono semplici installazioni: sono voci silenziose che accompagnano tra passato e presente e raccontano la dolorosa storia degli abitanti.

L’arte che conserva la memoria e diventa conoscenza

Guida della triennale alla mano, iniziamo dal Ringwanderung di Tomoko Konoike: un sentiero circolare di 1,5 km scavato nel 1933 dai pazienti del sanatorio, che offriva loro uno sguardo sul mare e un senso di libertà in mezzo all’isolamento.

Nel 2019 Konoike lo ha riportato alla luce, liberandolo dalla vegetazione e aggiungendo cartelli con riflessioni che intrecciano memoria e arte, raccontando il desiderio di liberazione e il superamento delle restrizioni dell’isola. Nel 2022, ha completato l’opera con una scalinata di pietra che scende fino alla spiaggia: una via di fuga simbolica, come un’apertura verso il futuro.

Il sentiero, un tempo simbolo di segregazione, è diventato così un luogo di riflessione e riconciliazione tra passato e presente, con la scalinata a ricordare speranza e apertura verso nuovi orizzonti.

Dal qui ci spostiamo di nuovo verso la costa, dove ci attendono le opere del progetto Art for the Hospital, Yasashii Bijutsu. Nato nel 2002 da ex studenti dell’università di Nagoya Zokei e volontari, questo progetto mira a rendere gli spazi più umani attraverso l’arte, promuovendo dialogo e connessione tra ospedali e comunità locali.

In passato, ai residenti dell’isola non era permesso lasciare nulla ai posteri, né figli né oggetti. Oggi, vari reperti raccontano la memoria e le sofferenze di chi vi ha vissuto. Tra questi, Rare Feeler utilizza oggetti lasciati dai defunti per trasmettere la vitalità e la passione di chi abitava l’isola.

Nella Galleria 15 Tsunagari no ie, troviamo Sea Echo, l’ultima barca di legno rimasta sull’isola, custodita in un ex alloggio dei pazienti, testimonianza della loro vita e del legame con il mare.

E lì davanti, il pezzo più sconvolgente: un grande tavolo di pietra, riemerso dal mare. Un tempo serviva per dissezionare i corpi dei pazienti, che erano obbligati a firmare il consenso all’autopsia all’arrivo sull’isola. Ora è spezzato al centro, portando ancora con sé il dolore di chi vi è passato e invitando chi lo osserva ad aprire mente e cuore e imparare dalla sua storia.

Poco più in là si incontra Blue Sky Aquarium (2013), di Seizo Tashima. L’artista ha trasformato un ex dormitorio del sanatorio in un acquario a cielo aperto, un mondo marino immaginifico fatto di luci soffuse, creature fantastiche e ambienti che evocano i fondali oceanici. Realizzato con materiali umili, legno recuperato e oggetti raccolti sulle spiagge dell’isola, l’acquario invita i visitatori a immergersi in un universo sospeso tra realtà e sogno. Attraversando le stanze ci si imbatte in pesci, sirene malinconiche e forme ibride che sembrano emergere da un sogno, in un percorso che invita a riflettere sul rapporto tra fragilità umana e potere rigenerante della natura.

Così la triennale ha trasformato Oshima da luogo di isolamento e stigma a spazio di riflessione, connessione e guarigione. Le opere non solo documentano la storia dell’isola, ma insegnano empatia e consapevolezza, dimostrando come l’arte possa essere uno strumento potente di cambiamento sociale e culturale.

Come organizzare la visita ad Oshima

Per raggiungere Oshima, si parte dal porto di Takamatsu: i traghetti, circa cinque corse al giorno, sono gratuiti e impiegano meno di 20 minuti per raggiungere l’isola. I posti sono però limitati e, durante la Triennale, possono esaurirsi rapidamente, quindi è consigliabile organizzarsi in anticipo e seguire le indicazioni dei volontari.

Una volta sbarcati, l’isola si scopre a piedi, lasciandosi avvolgere dalla sua storia, dai suoi paesaggi e dalle opere d’arte che la rendono davvero unica.

  • Oshima Island


    establishment, natural_feature
  • Oshima Island, Ajicho, Takamatsu, Kagawa 761-0130, Japan
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Oshima è l’isola della Triennale che più ha lasciato un segno nella mia memoria: una scoperta che mai avrei immaginato possibile in Giappone, avvolta in un’atmosfera surreale, quasi da film. Visitare Oshima significa confrontarsi con una storia complessa e affascinante, in un luogo spettacolare che un tempo era una vera e propria prigione. È un’esperienza che invita alla riflessione, accresce la consapevolezza e lascia molte domande aperte, spingendo a guardare al passato con empatia e rispetto.

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