Dopo aver visitato i musei di Naoshima, ho deciso di spingermi oltre le mete più note e salire sul traghetto che conduce verso altre due isole della Triennale di Setouchi: Ogijima e Megijima.
Qui l’arte non si manifesta in grandi architetture, ma si fonde con la vita quotidiana: tra case arroccate, orti curati e storie che il vento porta dal mare.
Megijima custodisce la leggenda degli oni, i demoni del folklore giapponese, mentre Ogijima vive al ritmo lento del suo villaggio di pescatori. Due anime diverse, unite dallo stesso mare e da un invito comune a rallentare.
Due isole, un’origine leggendaria
Ogijima 男木島 e Megijima 女木島 sono due piccole isole al largo di Takamatsu, i cui nomi, contenenti i kanji di uomo 男 e donna 女, suggeriscono un legame simbolico, riflesso anche nella loro vicinanza geografica. Ma questa simbologia, per quanto suggestiva, non è l’origine più antica della loro storia.
Per capire meglio la loro connessione, bisogna tornare indietro nel tempo, fino alla celebre battaglia di Yashima nel 1185. In quel periodo, il clan Taira, in fuga dall’avanzata dei Minamoto, trovò rifugio sull’isola fortificata di Yashima (oggi parte di Takamatsu). Secondo la leggenda, i Taira issarono un ventaglio (ogi 扇) in cima all’albero di una nave, sfidando il nemico a colpirlo con una freccia. L’arciere Nasu no Yoichi accettò: a cavallo e immerso fino alla vita nel mare, riuscì nell’impresa con un colpo solo, entrando così nella leggenda.
Ma la storia non finisce qui. La parte intatta del ventaglio sarebbe approdata su Ogijima, chiamata per questo “l’isola del ventaglio”. Il frammento spezzato, invece, si fermò su Megijima, il cui nome deriverebbe dal termine dialettale megede, che significa “rotto”.
Solo in tempi più recenti, per rafforzarne l’immagine di isole gemelle, i loro nomi sono stati associati ai caratteri di uomo e donna.
Anche se non esistono fonti ufficiali a confermare questa versione, è una storia che arricchisce il fascino di queste isole: un esempio perfetto di come mito, toponomastica e cultura popolare si intreccino nel cuore del Mare Interno di Seto.
Megijima: l’isola dei demoni
Megijima per via della sua leggenda, era da tempo sulla mia lista di isole da esplorare ed è proprio da qui che inizia la nostra giornata.
Grazie alla leggenda di Momotaro, il ragazzo nato da una pesca che partì per sconfiggere i demoni, è infatti conosciuta anche come Onigashima, l’isola dei demoni,
Una lunga scalinata tra i pini conduce alla Grotta dei Demoni (鬼ヶ島大洞窟 Onigashima Daidokutsu), una rete di gallerie lunga circa 400 metri, scavata nella roccia calcarea. Al suo interno, statue, effetti sonori e tegole decorate raccontano il mito in modo immersivo.
Tra queste, spiccano 3.000 onigawara (decorazioni da tetto tradizionali giapponesi), create dagli studenti delle scuole medie di Kanagawa per l’Oninoko Tile Project.
Camminare tra questi cunicoli scarsamente illuminati è un’esperienza divertente, quasi teatrale.
L’atmosfera dell’isola è sospesa: spiagge silenziose, un faro solitario e una vegetazione rigogliosa che sembra nascondere storie dimenticate. Tutto appare un po’ surreale, come se la leggenda avesse davvero lasciato una traccia tangibile.
Essendo parte della Triennale, anche Megijima ospita opere d’arte degne di nota.
Nel porto si trova Seagull’s Parking Lot (2010) di Takahito Kimura, che ha trasformato vecchi rottami arrugginiti in gabbiani metallici, pronti a cambiare direzione secondo il vento, evocando il passare del tempo e la leggerezza della memoria.
Poco più in là, l’opera MECON (2013) di Shinro Ohtake trasforma il cortile della ex scuola elementare in un’installazione vivace e stratificata: una grande boa rossa, piante autoctone con radici contorte e oggetti trovati simboleggiano le radici della comunità locale, esprimendo vitalità e la speranza che gli abitanti mantengano sempre il legame con la loro isola.
Megijima
establishment, natural_feature- Megijima, Megicho, Takamatsu, Kagawa 760-0092, Japan
- ★★★★☆
Ogijima: il villaggio dei pescatori
A Ogijima non sapevo bene cosa aspettarmi, ma una volta attraccati, ho subito percepito il suo fascino particolare e umile. L’isola si presenta come un dedalo di viuzze in pietra che si arrampicano sulla collina, con case addossate l’una sull’altra in un’atmosfera che mi ricorda quella del Mediterraneo.
Appena sbarcati, si viene accolti da L’anima di Ogijima (2010) di Jaume Plensa : una struttura trasparente in vetro e acciaio che sembra fluttuare sopra il mare. Costellata da lettere di 8 alfabeti diversi, invita all’incontro e alla mescolanza di culture.
Grazie alla Triennale, Ogijima ha visto una vera e propria rinascita, con l’apertura di nuove attività e la valorizzazione della sua identità attraverso l’arte contemporanea.
Molte sue opere evidenziano il profondo legame tra storia e cultura locale. Tra queste, Takotsuboru (2019) del collettivo TEAM OGI, una gigantesca trappola per polpi (takotsubo), omaggio alla pesca del polpo, fondamentale per l’economia dell’isola, e simbolo del forte legame tra gli abitanti e il mare.
Ma l’opera che più mi ha colpita è Walking Ark (2013) di Keisuke Yamaguchi: una grande struttura blu e bianca ispirata all’Arca di Noè. Le sue cinque coppie di gambe le conferiscono un’aura surreale, come se fosse pronta a camminare sull’acqua, mimetizzandosi con il mare e il cielo circostanti.
L’artista ha concepito quest’opera come un simbolo di speranza e preghiera per la sicurezza dalle catastrofi naturali, idealmente rivolta verso la città di Iwaki, nella prefettura di Fukushima, duramente colpita dal terremoto e dallo tsunami del 2011.
Ogijima
establishment, natural_feature- Ogijima, Ogicho, Kagawa 760-0091, Japan
- ★★★★☆
Come arrivare e spostarsi tra le isole
Entrambe le isole si trovano nel Mar Interno di Seto, a breve distanza dalla città di Takamatsu.
I traghetti impiegano circa 20 minuti per Megijima e altri 20 per Ogijima, rendendole perfette per una gita in giornata, anche se la tentazione di restare più a lungo è forte.
Ogijima e Megijima sono luoghi dove “non succede nulla”, ed è proprio lì che accade tutto.
Camminando senza meta tra i vicoli o per le loro spiagge, scambiando parole con gli abitanti, si scopre che il tempo segue un ritmo diverso. Le opere d’arte non si impongono, si lasciano trovare. Il paesaggio marino avvolge ogni scorcio, accompagnato dal suono delle onde e dall’arrivo lento dei traghetti.
In un Giappone sempre più attratto da esperienze lente e sostenibili, queste isole offrono una risposta gentile: un’arte che non grida, una bellezza che non si compra, ma si attraversa.
Ogijima e Megijima non urlano la loro unicità, la sussurrano a chi ha il coraggio di rallentare.
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