Il mio primo incontro con il mondo della cerimonia del tè giapponese (chado 茶道, la “via del tè”) è avvenuto nel 2016, durante il mio primo viaggio in Giappone. Ovunque alloggiassi – dal piccolo ryokan tradizionale all’hotel moderno – mi veniva offerto del tè verde giapponese, e ogni camera era dotata di tutto il necessario per prepararlo. La mia prima cerimonia del tè fu in una piccola casa da tè a Kyoto e bastò a far nascere in me l’interesse per quest’arte. Mi sentii subito attratta dalla discreta eleganza della sala da tè e dalla bellezza e varietà degli utensili. Tutto era una gioia per gli occhi, dai kimono indossati dai chajin 茶人 (letteralmente, le “persone del tè”) alla delicatezza dei wagashi, dolcetti a forma di fiori di stagione che accompagnavano la tazza di matcha dal tipico verde brillante.
- La storia della cerimonia del tè in Giappone
- Cos’è la cerimonia del tè giapponese?
- Il kimono, l’abito tradizionale per la cerimonia del tè
- I giardini del tè giapponesi
- La sala per la cerimonia del tè
- Quali sono gli utensili della cerimonia del tè giapponese?
- La lacca giapponese
- I dolci giapponesi tradizionali serviti per la cerimonia del tè
La storia della cerimonia del tè in Giappone
La leggenda vuole che il tè sia stato scoperto in Cina nel 2737 a.C. e sia arrivato fino al Giappone nell’ottavo secolo, portato con sé da monaci buddisti di ritorno dalla Cina lungo la Via della Seta.
Fu il celebre maestro del tè Sen no Rikyu (1522-1591) a plasmare la cultura del tè giapponese nella forma d’arte che ora riconosciamo come chado o “via del tè”. Egli fu il padre del wabi cha, il tè della sobrietà, che promuoveva l’uso di utensili dalla bellezza semplice e grezza. Le tre principali scuole del tè sono chiamate Urasenke, Omotesenke e Mushakojisenke.
Cos’è la cerimonia del tè giapponese?
Nel 1872 il governo giapponese riconobbe ufficialmente il cha no yu 茶の湯 come forma d’arte giapponese di grande significato culturale. Questo termine, usato in Giappone per indicare la cerimonia del tè, ha il significato letterale di “acqua calda per il tè”. Si tratta del rituale di preparare e servire il matcha, tè verde giapponese in polvere. Secondo Sen no Rikyu, esistono quattro principi sui quali si basa la cerimonia del tè: wa, kei, sei e jaku. Il primo, wa 和, è la perfetta armonia di tutti gli elementi. Il secondo, kei 敬, è il rispetto per tutte le cose. Il terzo, sei 清, rappresenta la pulizia, l’ordine e la purezza, Infine, jaku 寂 significa calma e tranquillità.
Nel desolato deserto dell’esistenza, la sala da tè era un’oasi in cui i viaggiatori affaticati potevano incontrarsi per abbeverarsi alla comune sorgente del piacere estetico. La cerimonia era una sorta di rappresentazione improvvisata, la cui trama si intesseva intorno al tè, ai fiori, ai dipinti.
Okakura Kazuko
Il cha no yu insegna anche l’apprezzamento estetico: mostrare ammirazione per i fiori e il rotolo di calligrafia è una delle prime cose che un invitato fa una volta entrato nella sala da tè. Esaminare gli utensili è la parte conclusiva del rituale, l’ultima cosa che si fa prima di lasciare la sala da tè: è il cosiddetto haiken, l’osservazione degli utensili. Appena l’ultimo degli invitati ha terminato il tè, il primo chiederà della provenienza degli oggetti. Dov’è stato fatto? Chi l’ha fatto? Come si chiama?
Il kimono, l’abito tradizionale per la cerimonia del tè
Tradizionalmente, sia uomini che donne indossano il kimono quando partecipano a una cerimonia del tè. Oltre alle geisha, i praticanti della cerimonia del tè sono tra le ultime persone in Giappone che ancora lo indossano regolarmente. Esistono comunque dei criteri da seguire nello scegliere un kimono per la cerimonia del tè. Tradizione vuole che chi partecipa indossi un iromuji 色無地, un kimono a tinta unita senza motivi di grandi dimensioni o troppo vistosi, con tabi (calzini tradizionali) bianchi e senza gioielli. Le donne più giovani prediligono toni come il rosa chiaro o il pesca, mentre le donne più in là con l’età solitamente indossano sfumature attenuate di grigio argentato, marrone o blu scuro.
Il kimono è un’opera d’arte che prende vita quando viene avvolta intorno a un corpo. Nella cerimonia del tè, i chajin mettono in risalto la bellezza dei tessuti giapponesi, pensati per essere indossati e mossi con grazia, non semplicemente esposti come quadri. Partecipare a una cerimonia del tè è spesso una rara occasione per indossare un kimono, o ammirarne uno indossato: chiunque l’abbia provato sa quanto cambi il proprio modo di muoversi – si rallenta, si cammina a piccoli passi, ci si siede in modo diverso. Oggi, tuttavia, il kimono è una forma d’arte in via d’estinzione. Sebbene sia l’abito nazionale del Giappone, il suo uso quotidiano è diminuito drasticamente dal boom economico degli anni ’80, ed è ormai riservato a eventi speciali come matrimoni o cerimonie per la maggiore età. I kimono indossati durante il chado hanno un’eleganza sobria: forse non sono appariscenti come quelli delle maiko o delle geisha, ma proprio per questo si armonizzano perfettamente con l’estetica discreta della sala da tè.
I giardini del tè giapponesi
Ispirato ai principi zen, il roji 露地 (letteralmente “terreno rugiadoso”) è il più semplice e discreto tra i giardini giapponesi. Camminando nel giardino del tè, si notano le molte sfumature del verde, il muschio e l’assenza di fiori dai colori vivaci.
Questo perché il roji è pensato per calmare la mente e preparare spiritualmente all’ingresso nel mondo del tè. Gli invitati varcano un cancello e seguono un sentiero di pietre, in un percorso che simboleggia l’atto di lasciarsi alle spalle il mondo esterno e le sue preoccupazioni, prima di entrare nella sala da tè.
La sala per la cerimonia del tè
Il chaseki 茶席 (la stanza per la cerimonia del tè) è uno spazio modesto, spesso una piccola casetta larga appena quattro tatami e mezzo. È concepito come una sorta di santuario, costruito solo con elementi naturali, come legno o bambù, che lo legano al mondo naturale. Non ha nessun ornamento, il che – come i muri bianchi di una galleria d’arte – crea lo scenario perfetto per la cerimonia del tè e permette alla bellezza degli elementi decorativi attentamente selezionati di splendere.
In ogni sala da tè si trova un tokonoma 床の間, una nicchia dedicata all’arte che ospita i fiori e un rotolo dipinto o calligrafato, unici elementi decorativi in una stanza altrimenti spoglia. Okakura Kakuzō (1863–1913), autore de Il libro del tè, riteneva che la sala da tè fosse l’unico luogo dove è possibile dedicarsi all’“adorazione del bello” senza le distrazioni della vita moderna. Anche se le sue parole risalgono al 1900, suonano ancora incredibilmente attuali. Per me, le tre ore settimanali dedicate al keiko (la pratica del tè) sono una vera boccata d’aria in un mondo che difficilmente ci permette di staccare. Quando ci si concentra solo sul gesto del preparare il tè e sugli oggetti davanti a sé, tutto si fa più calmo, e ogni elemento rivela la sua bellezza.
Il singolo fiore custodito nella sala da tè… rendeva assai più intensa la bellezza di tutti i fiori nel giardino.
Soshitsu Sen XV
I fiori per la cerimonia del tè
I chabana 茶花 sono i fiori scelti per una cerimonia del tè. A differenza dell’ikebana, si tratta di composizioni minimaliste che solitamente includono solo uno o due fiori di stagione in un vaso o un cestino di bambù. Fiori dai colori vivaci o con un profumo intenso non sono adatti alla sala da tè perché disturberebbero il delicato equilibrio degli elementi nello spazio. Al contrario, i fiori devono apparire freschi come se fossero stati appena raccolti.
La calligrafia per la cerimonia del tè
Tra le forme d’arte presenti nella cerimonia del tè, la calligrafia occupa un posto centrale. Spesso realizzata da un celebre monaco o da un maestro del tè noto per la sua maestria con il pennello, si presenta sotto forma di kakemono 掛け物, ovvero rotoli appesi montati su stoffe di broccato, facili da arrotolare e conservare. Chi ospita la cerimonia sceglie con cura il kakemono più adatto, in base alla stagione o al sentimento che desidera trasmettere. È la prima cosa che gli ospiti notano entrando, e contribuisce a definire l’atmosfera, insieme ai chabana. A volte basta un solo carattere: in giugno, per esempio, la mia sensei una volta scelse un rotolo con scritto taki 滝 (cascata), per evocare una sensazione di freschezza in una giornata afosa.
Quali sono gli utensili della cerimonia del tè giapponese?
Un sacerdote spagnolo del XVII secolo definì i dogu 道具 (gli utensili della cerimonia del tè) come i gioielli della corona del Giappone. Questi oggetti variano a seconda della stagione e del livello di formalità del ritrovo, ma alcuni sono sempre presenti: una tazza per il tè, un contenitore per il matcha, un frullino in bambù e un cucchiaino dosatore.
Ognuno di questi viene pulito attentamente di fronte agli ospiti prima di ogni tazza di tè, mostrando rispetto per gli utensili e per gli ospiti. L’estetica giapponese predilige l’asimmetria alla simmetria, e i numeri dispari a quelli pari, perciò negli oggetti non si trovano colori o motivi ripetuti. In compenso, i dogu, insieme ai chabana e al kakemono, suggeriranno un tema legato alla stagione.
Chawan, la tazza per il matcha
Nella sala da tè, la ricca tradizione della ceramica giapponese si esprime attraverso il chawan 茶碗, la tazza da tè, considerata l’utensile più simbolico e importante: viene maneggiata da ospite e invitati, e spesso porta un nome poetico. I chawan si dividono in tre grandi categorie. I più preziosi sono i raku (楽焼 raku-yaki), neri o rossi, realizzati in un forno di famiglia attivo dal XVI secolo: la parola raku significa piacere, appagamento. Le raffinate tazze kyo-yaki 京焼, invece, sono prodotte a Kyoto e note per i loro decori vivaci; tra i ceramisti più noti spicca Ogata Kenzan (1663–1743), celebre per la pittura e la calligrafia. Infine, i kuni-yaki 国焼 comprendono ceramiche provenienti da tutto il Giappone, tra cui gli eleganti pezzi di Hagi-yaki 萩焼.
Bere il matcha da questi stupendi chawan permette di apprezzare una tazza da tè in modo nuovo, cogliendo come il peso di una tazza raku tra le mani risulti rassicurante, o come il modesto ambiente di una sala da tè valorizzi le decorazioni intricate di una tazza kyo-yaki.
Chasen, il frullino di bambù
Il bambù è un elemento distintivo dell’estetica giapponese e nella cerimonia del tè è soprattutto legato al chasen 茶筅, il frustino usato per montare il matcha. Insieme al chawan, è uno degli strumenti più riconoscibili del chado e ha mantenuto la sua forma originale per oltre 350 anni. Il villaggio di Takayama, nella prefettura di Nara, è il cuore della produzione di chasen in Giappone: da qui proviene circa il 90% dei frustini usati nel paese. Ogni chasen è realizzato a mano da un singolo pezzo di bambù, che viene lavorato anche per due o tre anni prima di diventare uno strumento perfetto. La leggenda ne attribuisce il design originale al poeta Takayama Sōzei, nel XV secolo. Nella sala da tè troverete spesso altri oggetti in bambù, come il chashaku 茶杓 (cucchiaino dosatore), i vasi per i fiori, i mestoli per l’acqua e i contenitori per l’incenso.
La lacca giapponese
La storia della lacca nell’Asia dell’est ha migliaia di anni. Nella sala da tè, la tradizione giapponese della lacca (漆器 shikki) è rappresentata dai vassoi o dalle scatole usate per servire i dolci, e dal natsume 棗, il recipiente per l’usucha 薄茶 (“tè sottile”) cerimoniale. Il natsume prende il suo nome dal jujube, il dattero rosso cinese (da noi conosciuto come giuggiola). Tradizionalmente sono fatti in legno e ricoperti da strati neri o rossi di lacca urushi, che raffreddandosi si solidifica. Possono essere lasciati in tinta unita o decorati con motivi elaborati ottenuti con polvere d’oro e argento. Questa tecnica è detta maki-e (disegno sparso). I natsume hanno una forma cilindrica, leggermente più ampia in alto, e un coperchio rotondeggiante.
I dolci giapponesi tradizionali serviti per la cerimonia del tè
La produzione dolciaria giapponese ha una lunga storia, influenzata dai dolci cinesi, dalla cerimonia del tè e, più tardi, dall’arrivo degli occidentali. Lo zucchero, un tempo riservato all’aristocrazia, divenne più accessibile grazie ai mercanti portoghesi e spagnoli. Dal periodo Edo (1603–1867), i dolci tradizionali wagashi conobbero un grande successo, diventando sempre più popolari insieme alla diffusione del cha no yu. Le due arti si sono arricchite a vicenda: il chado stimola tutti i sensi – vista, tatto, gusto – e i wagashi ne sono parte integrante, pensati per deliziare l’occhio e il palato. Il termine wagashi 和菓子, coniato durante l’epoca Meiji (1868–1912), unisce wa (“in stile giapponese”) e gashi (“dolci”).
Durante la cerimonia del tè si servono due tipi di wagashi, pensati per accompagnare il matcha: i namagashi 生菓子 (dolci freschi) e gli higashi 干菓子 (dolci secchi). I namagashi, come i raffinati nerikiri a forma di fiori stagionali e realizzati con pasta di fagioli rossi o bianchi, vengono serviti prima del koicha 濃茶, il matcha denso, per bilanciarne l’intensità. Gli higashi, invece, sono dolci di zucchero pressato in stampi che richiamano simboli e piante di stagione, serviti prima dell’usucha, più leggero. Queste piccole opere d’arte commestibili rappresentano l’eccellenza della dolcezza giapponese tradizionale.
La sala da tè è un rifugio dal mondo moderno, uno spazio essenziale dove le molteplici forme dell’arte e dell’estetica giapponese prendono vita. È uno dei pochi luoghi, al di fuori di un museo o di una residenza privata, in cui è possibile vedere riuniti elementi di artigianato, calligrafia, ceramica, tessuti e dolci tradizionali – tutti non solo esposti, ma utilizzati attivamente, proprio come accadeva ai tempi di Sen no Rikyū. La cerimonia del tè è una forma d’arte vivente, che si esprime come una danza elegante sul tatami. Praticare il cha no yu coltiva un atteggiamento di riconoscenza, osservazione silenziosa e gratitudine, che ci insegna ad ampliare la nostra idea di bellezza. Più studio il chado, più comprendo il valore del minimalismo e l’eleganza nascosta in un singolo bocciolo, che sa dire molto più di un intero mazzo di fiori.
Tradotto da Stefania Da Pont
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