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Namahage Festival: la notte in cui i demoni educano gli umani

Akita Cultura FEATURED Inverno Tohoku
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Nel nord più remoto dello Honshu, dove gli inverni sono lunghi e la neve cade incessante, ogni anno si rinnova un rituale antico che attira i visitatori affascinati da un Giappone arcaico e un po’ spaventoso: il Namahage Festival della città di Oga, prefettura di Akita.

Qui, tra torce infuocate, maschere terrificanti, danze e canti rituali, prende vita una celebrazione radicata in secoli di storia che combina religione, folklore e spirito di comunità.

Chi sono i Namahage?

I Namahage sono figure dal volto feroce, rappresentato da maschere di legno rosse, blu o nere, che indossano lunghi mantelli di paglia. Portano coltelli rituali (al giorno d’oggi, fatti di legno) e un mastello e scendono dalle foreste sulla montagna per raggiungere i villaggi.

Nonostante l’aspetto inquietante, non sono creature maligne: appartengono infatti alla grande famiglia di divinità e spiriti protettivi del Giappone rurale. La loro funzione è ammonire, educare e scacciare la cattiva sorte con le loro urla e il rumore pesante dei propri passi. Pare che l’etimologia della parola derivi da namumeyo, che nel dialetto locale significa “bruciore”, e hagu, “strappare via, togliere”. E non solo metaforicamente. 

Nelle piccole comunità di montagna, soprattutto in passato, la sopravvivenza del gruppo era intrinsecamente legata allo sforzo di ogni singolo membro. Era quindi fondamentale istruire tutti a svolgere il proprio compito, senza essere pigri e abbandonarsi all’indolenza. Soprattutto, era importante educare a questa etica i membri esterni al gruppo, che ancora non avevano assimilato le norme della società. Nello specifico, questi membri non perfettamente integrati erano identificabili nei bambini (ancora in corso di educazione) e nelle giovani donne appena sposate. All’epoca, infatti, per evitare matrimoni tra consanguinei, le mogli per i giovani venivano scelte da altri villaggi. Questa esogamia le posizionava quindi come membri esterni al gruppo, in fase di integrazione.

I Namahage, scendendo dalla montagna, entravano nelle case per sincerarsi che tutti contribuissero ai lavori quotidiani e per educare i nuovi membri del gruppo a essere attivi e a non cedere alla pigrizia. E qui entrano in gioco i coltelli: nei lunghi e gelidi inverni della prefettura di Akita, la tentazione di starsene seduti accanto al fuoco, invece di svolgere i propri compiti al freddo, è forte. Ma stando troppo accanto al fuoco, la pelle si arrossa e si ricopre di striature. L’affilato coltello dei Namahage serviva proprio a tagliare via quella parte di pelle arrossata tipica di chi era stato troppo a lungo seduto immobile accanto al fuoco o alla stufa, simbolo di pigrizia e inattività. Per cui, meglio darsi da fare!

Le origini: un rito di passaggio invernale

Le radici dei rituali relativi ai Namahage affondano probabilmente nelle pratiche di visita degli dèi (raihoshin), diffuse in molte regioni rurali del Giappone. Queste visite rituali erano spesso collegate a momenti di passaggio dell’anno, come il cambio delle stagioni o, nel caso dei Namahage, l’inizio del nuovo anno.

La notte di Capodanno i Namahage, impersonati da giovani uomini destinati a occupare ruoli di rilievo nella comunità, con le loro maschere spaventose e i tradizionali mantelli di paglia, fanno il giro delle case del villaggio. Con voci roche e urla annunciano la propria venuta e iniziano a chiedere “Ci sono bambini frignoni qui?” (Nakuko wa inee ga?). Vengono quindi accolti nelle case, dove spronano i bambini a studiare e a obbedire ai genitori, e le giovani spose a prendersi cura della casa e ascoltare i suoceri. Gli altri membri della famiglia assicurano ai Namahage che tutti si stanno comportando bene e offrono loro cibo e sake in segno di deferenza. Al momento di lasciare la casa, i Namahage danno la propria benedizione, assicurando prosperità per l’anno a venire.

Il rito è così significativo che nel 2018 l’UNESCO lo ha riconosciuto come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.

Il Namahage Sedo Festival: tradizione che incontra lo spettacolo

Oggi, oltre al rito di Capodanno nelle case, la città di Oga celebra ogni anno, nel secondo fine settimana di febbraio, il famoso Namahage Sedo Festival, una versione ampliata e spettacolare del rito di Capodanno, pensata sia per gli abitanti sia per i visitatori. Si tiene per tre notti presso lo Shinzan Jinja, un santuario shintoista ai piedi di una fitta foresta innevata.

Foto: 掬茶 Wikimedia Commons
  • Shinzan Shrine


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  • Mizukuisawa-97 Kitaurashinzan, Oga, Akita 010-0685, Japan
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Dalla stazione di Oga vengono organizzati dei pullman che portano i visitatori fino al santuario. Per partecipare è richiesto di compilare un modulo online specificando la data in cui si vuole partecipare, per far sì che gli organizzatori possano calcolare il numero di autobus da mobilitare ogni giorno.

La magia comincia al tramonto: le fiamme delle lanterne si accendono, a illuminare il sentiero che porta al santuario. Il profumo del legno che arde nei bracieri si fonde con l’aria fredda. Tamburi e flauti annunciano l’arrivo delle divinità. Si inizia con due cerimonie shintoiste: la Yunomai, una benedizione che utilizza musica e danze tipica della regione di Oga, e il Chinkamasai, una cerimonia di purificazione svolta mescolando l’acqua bollente di un calderone. I giovani prescelti, con indosso il costume di paglia, vengono poi purificati dal sacerdote shintoista di fronte alla scalinata in pietra del santuario, ricevono le maschere che contengono lo spirito delle divinità e così diventano Namahage e si inoltrano nel folto del bosco. 

Il pubblico assiste alla rievocazione delle visite alle case: su un palco i Namahage mettono in scena il loro arrivare nel villaggio, bussare ed entrare nelle case, dove vengono accolti come ospiti di riguardo, per poi chiedere ai bambini come si sono comportati ed eventualmente rimproverarli. 

Seguono poi una serie di danze molto evocative, che mostrano l’energia e la vitalità del festival. Ma la parte clou è senza dubbio la discesa dei Namahage dalla montagna. Le torce che bruciano si intravedono nel folto degli alberi, voci e canti risuonano: i demoni scendono tra gli uomini. I Namahage sono figure benevole ma incutono rispetto e timore. Si aggirano tra la folla e afferrano i bambini che ritengono pigri o disobbedienti, rimettendoli “in riga”, tra urla e pianti.

È una scena potente, capace di far rivivere una tradizione centenaria e di creare un’atmosfera sospesa tra sacro e inquietante. Spesso, nella ressa per farsi strada tra la gente, qualche filo di paglia cade dai costumi dei Namahage. Raccoglierlo e conservarlo fino all’anno successivo è considerato di buon auspicio. Tuttavia, strappare la paglia dai loro abiti è considerato molto irrispettoso e si dice porti sfortuna.

Come arrivare a Oga per il Namahage Sedo Festival

Da Tokyo è necessario prendere lo Shinkansen fino ad Akita, dove si consiglia di pernottare, e poi cambiare con un treno locale per Oga. Dalla stazione di Oga sono attivi dei bus speciali diretti al santuario. Vestitevi molto, molto pesante, dato che le temperature possono scendere parecchio sotto lo zero. Se avete tempo, consiglio anche una visita al Namahage Museum per comprendere meglio il significato della celebrazione e delle maschere, e persino provare a indossarne una.

  • Namahage Museum


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  • Mizukuisawa Kitaurashinzan, Oga, Akita 010-0685, Japan
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Il fascino intramontabile dei Namahage

Il Namahage Festival non è soltanto un rito invernale o uno spettacolo: è l’incontro con un Giappone arcaico e simbolico, dove gli spiriti vegliano sulle comunità e ricordano agli esseri umani il valore della disciplina e della solidarietà. Non si tratta solo di folclore: è una finestra sulla relazione tra gli esseri umani e le divinità della natura. 

In un Giappone sempre più urbanizzato, riti come questo rappresentano un legame tangibile con la vita rurale, la ciclicità della natura e la memoria collettiva. Per chi cerca l’anima profonda del Paese, Oga offre una delle esperienze più autentiche e indimenticabili dell’inverno giapponese. Tra il bagliore del fuoco, le maschere minacciose e il silenzio ovattato della neve, i Namahage continuano ancora oggi a “strappare via” la pigrizia e a invitare tutti a iniziare l’anno con rinnovata energia.

Foto di copertina: 掬茶Wikimedia Commons

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Marta Fanasca

Ricercatrice e autrice specializzata in studi sul Giappone contemporaneo, con un focus su genere, sessualità e sottoculture. Appassionata di anime, manga, viaggi e fotografia urbana, ama esplorare le città da prospettive inedite, cogliendone gli angoli nascosti attraverso l’obiettivo e raccontando le trasformazioni della società giapponese con uno sguardo sensibile e curioso.

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