Nella cultura tradizionale giapponese, le montagne hanno sempre avuto una profonda connessione spirituale con la popolazione. Bellezza e mistero convivono nei boscosi monti del Giappone, dimora delle migliaia di divinità riconosciute dalla religione shintoista. Ma non è necessario credere nello Shinto per trarne beneficio: qualunque anima stremata da uno degli anni più difficili della storia recente può trovare conforto nel dono della natura offerto dalle montagne.
Proprio per questo mi è sembrata una buona idea rifugiarmi con la mia famiglia tra i monti di Shizuoka, per una breve pausa dalla routine della vita a Tokyo durante la pandemia. La nostra meta era Hamamatsu, una città che si estende dalle montagne lussureggianti all’Oceano Pacifico, lungo le coste settentrionali e orientali del Lago Hamana, il decimo lago più grande del Giappone.
La stazione di Hamamatsu si trova lungo la linea Tokaido Shinkansen che unisce Tokyo e Kyoto. Dista dalle due città rispettivamente 90 e 60 minuti di treno ad alta velocità, il che la rende un’ottima alternativa alle tipiche destinazioni turistiche.
Affittare una Spaziosa Casa Tradizionale Giapponese ad Atagoya
Ci siamo “accampati” ad Atagoya, una tradizionale kominka ristrutturata, risalente a circa un secolo fa. La casa è stata negli anni una residenza privata e un ristorante, ma ora viene affittata come alloggio per famiglie o gruppi fino a quindici persone.
La proprietaria Michio Hayashi ci ha fatto fare un tour della casa, che include un enorme ofuro in legno di cipresso che può accomodare tranquillamente due persone, un proiettore LCD con accesso gratuito a Netflix e altri servizi di streaming online e al piano superiore un’area notte in tatami con spazio e accessori sufficienti per tutti i membri del gruppo. Sia all’interno che all’esterno ci sono altri spazi per rilassarsi, inclusa un’area per il barbeque sul retro e una sala luminosa con comodi divani su cui distendersi. La cucina è ampia, con tutto lo spazio necessario per preparare i pasti in gruppo, e dotata di un grande frigorifero per contenere il cibo e le bevande che possono servire per un weekend di vacanza.
Atagoya è semplicemente la ciliegina sulla torta del paesaggio che la circonda. Appena al di là della strada, scorre limpido il fiume Atago, dalla sua sorgente in cima alla montagna. Le acque basse e la corrente leggera lo rendono perfetto per una nuotata nei mesi più caldi dell’anno. Per chi vuole approfittarne, c’è una doccia esterna vicino al barbeque.
La zona è comunque un rifugio ristoratore anche all’inizio della primavera, ottima per fare lunghe passeggiate, gironzolare o esplorare i dintorni. I miei familiari di solito non amano alzarsi presto, ma non è stato difficile convincerli a unirsi a me per delle camminate mattutine poco dopo l’alba, per godersi la natura.
L’Akihasan Hongu Akiha Jinja e il suo legame con i Samurai
Non lontani da Atagoya si trovano due dei maggiori siti spirituali di Hamamatsu, entrambi imponenti seppur totalmente diversi l’uno dall’altro. La nostra prima tappa è stato l’Akihasan Hongu Akiha Jinja (秋葉山本宮秋葉神社), che d’ora in poi chiamerò semplicemente Akiha Jinja. È il tempio principale, dedicato alla divinità protettrice dal fuoco. Si trova all’estremità meridionale dei Monti Akaishi, a monte del fiume Tenryu, ed è spesso meta di pellegrini che desiderano proteggersi dal fuoco e controllarlo.
I più attenti conoscitori di Tokyo avranno notato che i kanji di Akiha sono gli stessi usati nel nome di un famoso quartiere della capitale, Akihabara (秋葉原). Questo perché proprio ad Akihabara venne costruita nell’Epoca Meiji una delle succursali di questo santuario, in modo che gli abitanti di Tokyo potessero pregare per la protezione dai frequenti incendi che devastavano la città (in seguito venne ricollocato nel distretto di Taito).
C’è un santuario anche ai piedi del Monte Akiha, ma il vero spettacolo è il santuario sulla cima, dove dimora la divinità. Siamo saliti partendo dal parcheggio, passando sotto un enorme torii di metallo e percorrendo una scalinata che sale attraverso un bosco di cedri antichi. La strada per arrivare al parcheggio era ripida e a tratti rischiosa: questo mi ha fatto pensare con stupore alla determinazione degli antichi pellegrini, che scalavano la montagna per raggiungere a piedi il santuario superiore. Al giorno d’oggi, il sentiero che unisce i due santuari è molto frequentato dagli escursionisti ed è percorribile in circa due ore di camminata, salendo per circa 750 metri di dislivello.
In cima alla scalinata ci attendeva Inuzuka-san, uno dei sacerdoti del santuario, per farci da guida. Per via del COVID, al momento non viene usato il chozuya (fontana per le abluzioni) che si trova all’entrata dei santuari shintoisti. In alternativa, i visitatori usano una pietra focaia per generare una scintilla, simbolo di purificazione, proprio come l’acqua. E allo stesso tempo, un possibile richiamo alla divinità del fuoco che qui viene venerata.
L’edificio principale dell’Akiha Jinja
La divinità del santuario è una divinità potente, perciò i samurai erano soliti recarsi qui a pregare prima di andare in battaglia. E dopo la battaglia vi facevano ritorno per offrire alla divinità un tributo in denaro oppure una spada o altri oggetti in loro possesso. Di conseguenza, l’Akiha Jinja ha una collezione di katana e altre armi dell’epoca dei samurai che farebbe piangere di gioia qualunque appassionato di storia bellica giapponese. La collezione comprende anche una katana appartenuta al daimyo Takeda Shingen, detto la “Tigre di Kai”, e altri incredibili pezzi risalenti al Periodo Kamakura (1185-1333), considerati Beni Culturali di Importanza Nazionale.
Una rara spada del Periodo Kamakura, parte della collezione di armi del santuario shintoista Akiha Jinja
Uno dei momenti migliori per far visita all’Akiha Jinja e assistere a un’esperienza tradizionale è a dicembre, in occasione dello Himatsuri, il festival del fuoco. Nella notte del 16 dicembre vengono eseguite tre danze tradizionali, utilizzando l’arco, la spada e il fuoco stesso. Prima delle danze, dei coraggiosi volontari si esibiscono con fuochi d’artificio giapponesi tradizionali, tenendoli in mano mentre sparano in aria fiamme e scintille che arrivano a metri d’altezza.
Un’Esperienza di Zen Giapponese Tradizionale al Tempio Hoko-ji
Se lo Himatsuri è il massimo dell’emozione che ci si può aspettare da un tempio shintoista, al Tempio Hoko-ji invece ci attende qualcosa di totalmente diverso Come nel caso dell’Akiha Jinja, il tempio è raggiungibile dal parcheggio tramite un sentiero tra i boschi. Camminando, ci si sente come osservati da centinaia di occhi… ed effettivamente è così! Lungo il sentiero sono collocate più di 500 statue di pietra raffiguranti discepoli buddhisti; si dice che, guardando attentamente, si possa sempre trovarne una che ci somiglia. Molte delle statue sono così vecchie da risalire a prima dell’incendio che distrusse gran parte del tempio nel 1887, mentre altre sono state aggiunte piuttosto recentemente. Noriyama-san, il monaco che ci ha fatto da guida nel tempio, ci ha scherzosamente fatto notare che il numero di discepoli aumentava regolarmente con la comparsa di nuove statue.
Anche il Tempio Hoko-ji è conosciuto come luogo in cui pregare per la protezione dal fuoco, ma per motivi diversi dall’Akiha Jinja. L’incendio che ha distrutto il tempio nel 1887 ha risparmiato soltanto due edifici, uno dei quali commemora una figura leggendaria conosciuta come Hansobo. Si dice che Hansobo, oltre 1300 anni fa, abbia aiutato il maestro Zen fondatore del tempio a sopravvivere a una tempesta mentre attraversava il mare rientrando dalla Cina. Hansobo, quindi, aveva già una reputazione di protettore, che fu però rinsaldata definitivamente quando il suo memoriale sopravvisse miracolosamente alle fiamme.
Oltre a essere un luogo piacevole con un’architettura incredibile, lo Hoko-ji offre due esperienze insolite che lo rendono interessante per chi è curioso riguardo al buddismo Zen. Al tempio, infatti, è possibile partecipare a una pratica di meditazione zazen di circa un’ora. Il programma è rivolto ai principianti, con un monaco che gentilmente spiega le basi della meditazione zazen, incluso come stare seduti e su cosa meditare. La meditazione vera e propria dura una quindicina di minuti, durante i quali un monaco sorveglia i partecipanti brandendo un lungo “bastone di incoraggiamento” (lo ha definito lui così, non io). Se una persona perde la concentrazione o si addormenta durante la meditazione, il monaco la colpisce sulla schiena per riportarla alla pratica. Il nostro istruttore afferma ridendo di colpire i partecipanti con un terzo della forza delle bastonate che riceveva durante il suo addestramento e che gli lasciavano la schiena ammaccata e sanguinante dopo una lunga giornata di “incoraggiamenti”.
I partecipanti che perdono la concentrazione durante la meditazione zazen vengono “incoraggiati” con un bastone in legno.
Un’altra esperienza Zen disponibile allo Hoko-ji è lo shojin ryori, il cibo vegano mangiato dai monaci buddisti e dal personale che risiede all’interno del tempio. Anche se siete degli amanti della carne e la cucina vegana non vi attira, quella del tempio ha qualcosa di speciale. Probabilmente avrete già sentito parlare della “carne-non-carne” come alternativa vegetariana. Ebbene, lo Hoko-ji serve un equivalente “unagi-non-unagi“. È proprio come pensate: il piatto ha lo stesso aspetto, consistenza e gusto della famosa anguilla del Lago Hamana, grigliata con una salsa dolce, ma con ingredienti interamente di origine vegetale. C’è anche un “sashimi” fatto con il konyaku e servito con cipollotto e salsa di soia: giuro che ha l’aspetto e il gusto della ricciola. In tutto, accompagnati da riso, sottaceti e zuppa di miso, vengono serviti sei piatti, che vanno dalla finta carne alle normali verdure e al tofu. Si tratta probabilmente del modo più squisito per sperimentare il buddismo Zen in Giappone.
Salsa di Soia “Fai da Te” da Meijiya Shoyu
Per la successiva esperienza tradizionale, siamo rientrati in città a Hamamatsu. In un quartiere tranquillo, a una decina di minuti dalla stazione di Hamakita, la Meijiya Shoyu porta avanti dal 1875 l’arte tradizionale della produzione di salsa di soia. Al giorno d’oggi, circa il 99% della salsa di soia in Giappone è prodotta in serbatoi sterili di acciaio inossidabile. Si tratta, tuttavia, di un cibo fermentato, realizzato con l’aiuto di batteri e muffe che si sviluppano al meglio nei kioke, le botti di legno in cui veniva tradizionalmente prodotta la salsa di soia. Il mix unico di batteri benèfici conferisce ai prodotti di ogni laboratorio, e perfino ai singoli lotti, un gusto unico e complesso che non si può ottenere con la produzione in massa industriale.
Meijiya Shoyu è uno stabilimento che produce salsa di soia tradizionale, fermentata per un anno e mezzo in botti di legno.
Come ci ha spiegato il produttore, la salsa di soia è un prodotto semplice, fatto solo con fagioli di soia, grano, sale, acqua e un agente fermentante detto koji. Ciascun ingrediente deve ovviamente essere di alta qualità (tutti gli ingredienti di Meijiya sono di provenienza giapponese, tranne il sale che viene dalle acque dell’Australia e del Golfo del Messico), ma sono i batteri che vivono nelle botti e tra le mura dello stabilimento stesso i responsabili per l’indescrivibile gusto umami della salsa. Gli ingredienti fermentano nella botte per un anno e mezzo, un tempo ampiamente sufficiente per mescolarsi con i batteri che infondono nella salsa dei sapori unici.
Da Meijiya i visitatori possono sperimentare in prima persona le fasi finali del procedimento e produrre una propria bottiglietta di salsa di soia. Si parte dall’estrazione della salsa dal moromi fermentato semi-solido, attraverso diversi strati di tessuto. In fabbrica vengono pressati trecento strati alla volta, noi abbiamo depositato tre strati di moromi su del tessuto leggero, per poi spremerlo con una pressa manuale. Schiacciando più volte con tutte le nostre forze, da quella sostanza marrone viscosa e appiccicosa abbiamo estratto circa 100ml di salsa di soia fermentata in botte, densa e saporita. Il responsabile ha portato per ognuno di noi un cubetto di tofu da condire con la nostra salsa fatta a mano. Non esistono parole adatte per descrivere la differenza tra la salsa di soia fermentata nelle botti e quella prodotta in ambiente sterile. Se non dire che è semplicemente migliore. I sapori sono più profondi e complessi, senza quel gusto salato che ha la salsa di soia invecchiata solo per tre, massimo sei mesi.
Nello stabilimento c’è anche un piccolo negozio dove si possono acquistare prodotti come la salsa per il tonkatsu o altri tipi di salse. L’esperienza include anche un tour dello stabilimento, ma assicuratevi di non aver mangiato del natto (il natto rovina i batteri koji che vivono nella fabbrica) e di prenotare almeno 10 giorni prima.
Hamamatsu: la Capitale Giapponese dei Gyoza
Mentre eravamo in città, abbiamo deciso di provare un’altra delle tradizioni speciali di Hamamatsu: i gyoza! I primi ristoranti di ravioli gyoza comparvero a Hamamatsu nel Periodo Taisho all’inizio del ventesimo secolo, ricevendo un’accoglienza entusiasta. Attualmente, esistono oltre 300 strutture a Hamamatsu che servono gyoza. Nel 2020, Hamamatsu è stata proclamata la città con il più alto consumo di gyoza del Giappone, spodestando Utsunomiya nella prefettura di Tochigi dal trono di “Capitale Giapponese dei Gyoza”. Per i fan irriducibili di questi ravioli, la Hamamatsu Gyoza Society fornisce una mappa con una selezione di 190 locali. Non vi consiglio di provarli tutti in un unico viaggio, ma potete assaggiare diversi tipi di gyoza al Gyoza Festival, che solitamente si tiene ogni anno a novembre (coronavirus permettendo).
Con così tanti ristoranti da cui scegliere, abbiamo deciso di puntare al meglio. Ishimatsu Gyoza è tra i preferiti degli abitanti di Hamamatsu dal 1953 e ha un’ampia sede principale vicino a Meijiya Shoyu. Entrando, noterete subito la grande parete con gli autografi e le dediche delle celebrità e capirete di essere nel posto giusto.
Qui i gyoza vengono serviti disposti a cerchio, proprio come escono dalla padella. Il buco al centro è riempito di germogli saltati, che a quanto pare si abbinano bene ai ravioli. Riempite il piattino per intingerli con della salsa di soia e una goccia di olio piccante e dateci dentro! Io e mia figlia abbiamo condiviso un piatto da venti e sono andati giù così tranquillamente che avrei potuto mangiarne altri. Abbiamo assaggiato anche un piatto di ravioli al vapore con della salsa ponzu agrumata e del riso saltato, a completare il pasto. Avevo già assaggiato i gyoza della precedente “capitale”, Utsunomiya, ma non avevano soddisfatto del tutto i miei gusti: quelli di Hamamatsu, invece, sono davvero notevoli.
Includere Hamamatsu nell’Itinerario di Viaggio in Giappone
Hamamatsu è talmente vicina a Tokyo e a Kyoto con lo shinkansen da essere un’ottima aggiunta all’itinerario, se vi capita di soggiornare in una delle due città. Se state usando il Japan Rail Pass, una tappa a Hamamatsu tra Tokyo e Kyoto non vi costa letteralmente nulla.
La città di Hamamatsu può arricchire un tipico itinerario con vari diversivi interessanti, dalle tradizioni spirituali a quelle culinarie. Il clima a Hamamatsu è solitamente mite, perfetto per delle attività all’aria aperta. Se viaggiate con la famiglia, date un’occhiata al mio articolo su come trascorrere una vacanza in famiglia a Hamamatsu, dove troverete altri posti e attività incredibili che qui non ho menzionato.
Sponsorizzato dalla Città di Hamamatsu
Tradotto da Stefania Da Pont